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La lettura di questo interessante post di Piero Dominici (che ringrazio per avermelo segnalato con un tweet) sul tema della trasparenza e delle reti sociali quali motori per il miglioramento della PA, mi ha ispirato alcune riflessioni che provano a focalizzare a me stesso il principale ostacolo al cambio di passo sulla vicenda.
L’amministrazione pubblica di questi anni, sotto l’impulso di pochi pionieri o per spirito di emulazione, sta cercando disperatamente di rimanere al passo con i tempi emulando le più diffuse forme di comunicazione utilizzate per convincere la collettività dei propri buoni propositi in tema di “partecipazione” e trasparenza. Propositi che spesso vengono però disattesi per scarsa capacità di leadership e per l’adozione di provvedimenti ben lontani dal soddisfare le esigenze collettive per attestarsi a livelli accettabili di ricaduta sul territorio.
Il tema della trasparenza pone per assunto un rapporto di credibilità e fiducia reciproca tra le parti (amministrazioni e cittadini) che attualmente latita e drasticamente si acuisce di giorno in giorno.
Mostrare i muscoli ai cittadini è un comportamento che generava consenso quando le informazioni erano accessibili a pochi, ma non ora.
Giusto per attualizzare… ritrovare un amministratore o una pubblica amministrazione nei social network ad esempio, è sempre più frequente, ma soltanto alcune di esse li utilizzano per la loro reale funzione. Questi account istituzionali, sempre più gestiti da uffici e collaboratori più che dal soggetto rappresentato nel nome e nell’avatar, si sono trasformati in bacheche chiuse a chiave, dove la gente appende le proprie istanze e le proprie speranze.
[Tangentopoli: in quel contesto, proprio la perdita di credibilità e di fiducia registrata da parte delle istituzioni e della Politica, ha favorito e reso più urgente la richiesta di una Pubblica Amministrazione più trasparente ]
Non solo così si è persa la credibilità. Abbandonare la cultura del segreto e del silenzio nell’anno zero promuovendo all’esterno un’immagine totalmente distorta da quella reale di molti “feudi” comunali è stato il primo grande errore a mio avviso.
I moderni metodi di comunicazione permettono ormai di veicolare i saperi molto velocemente tanto da verificare quasi in maniera istantanea la bontà di ogni provvedimento. La scarsa qualità degli opendata resi pubblici da alcuni comuni italiani, ad esempio, è tutt’ora uno di quei casi in cui la sentenza degli esperti sul web arriva addirittura prima che un’amministrazione possa diffondere il proprio compiacimento per la pubblicazione di qualcosa che serve solo a far numero tra i comunicati stampa.
Nella lunga cavalcata a “comparire” gioca un altro fattore molto importante a favore degli amministratori bluff : l’assenza di sanzioni per la PA. Questo è “il tema” che andrebbe affrontato, come condizione sine qua non per chiedere a cittadini e associazioni di riporre nuovamente fiducia verso le istituzioni. L’anello mancante è proprio il sottile spazio di manovra che hanno a disposizione le PA in generale per rimanere impunite per i loro inadempimenti.
L’impunità e le politiche del dire hanno drasticamente segnato un solco gigante tra cosa pubblica e collettività, tanto da oscurare coloro che qualcosa di buono stanno facendo. La rete in tal senso ha giocato a favore di quest’ultimi che oggi si candidano inevitabilmente a divenire pionieri di un cambiamento indotto, anche dall’interno delle amministrazioni stesse.
Senza questi soggetti, rischieremmo di raccontare oggi una situazione ben peggiore e per forza a loro bisogna aggrapparsi per ripartire. È doveroso monitorare la PA, per dovere civico, cosi come é eloquente che pesa forte la zavorra ereditata da anni in cui il cittadino ha reagito passivamente (o meglio non ha reagito) ai cambiamenti e al degrado delle macchine comunali e pubbliche.
E’ il presupposto dunque che deve cambiare: maggiore presa di coscienza dei cittadini sul fatto che nessuna amministrazione riesce autonomamente a rinnovarsi in tempi razionalmente brevi. Iniziative come l’adozione di un FOIA, l’Open Data Day, Spaghetti Open Data etc., sono a mio avviso il giusto motore sociale per mantenere alta l’attenzione sul tema e convogliare promotori dell’innovazione. In tal senso c’è da chiedersi come scongiurare che queste realtà rimangano una fonte inesauribile per nicchie ristrette.
Quanto alla PA, proprio dall’interno degli uffici è necessario che si adotti un profilo più basso e collaborativo verso l’esterno, che contagi positivamente il sistema sino ai vertici e scongiuri drastiche cadute di stile e perdita di credibilità con insostenibili provvedimenti propagandistici.
Il tentativo perseguibile è mostrare alla cittadinanza un’altra faccia dell’amministrazione, meno dedita alla forma. I tempi sono forse maturi per iniettare in essa il concetto di una collaborazione collettiva, decisamente più proficua (anche in termini di consenso) di quanto sin’ora improvvisato.
Muovo questo mio pensiero dalla recente partecipazione alla Prima giornata della trasparenza e della partecipazione tenutasi a Palermo. Tra tavoli carichi di tensione e rivendicazioni di attenzioni mai corrisposte, il tavolo dedicato agli opendata si è contraddistinto per un’insolita serenità e propositività. Il neo responsabile degli opendata ha esordito “ascoltando” ed ha creato le condizioni per un dibattitto poi rivelatosi interessante. Nessun annuncio, bensì una analisi schietta e sincera della situazione comunale e tanto confronto.
Al netto delle buone o cattive intenzioni, il tempo ci dirà se questo approccio porterà nuova linfa. Sicuramente ha gettato ottime basi per un dialogo che andrà coltivato da entrambe le parti, inevitabilmente più stimolate nell’intraprendere un rapporto costruttivo e duraturo.
Rispetto alla condizione di caos precedente, è sicuramente un buon inizio.